Quando l’orto diventa “sociale”: ACMOS e gli orti urbani in Barriera di Milano.

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di Clotilde Monti

La voglia di un ritorno alla natura, di consumare prodotti a chilometro zero, di veder crescere i frutti della terra coltivati con le proprie mani o semplicemente un introito economico per far quadrare i bilanci fa riappropriare l’uomo di spazi prima non utilizzati, per la cosiddetta coltivazione di orti urbani.

In un periodo in cui gli insediamenti produttivi e le infrastrutture stanno sottraendo terreno agricolo, paradossalmente, si assiste a un nuovo paesaggio delle periferie urbane, ove gli spazi, una volta incolti, vengono recuperati per la coltivazione di ortaggi ad uso domestico da parte del singolo o in colonie aggregate unitariamente. E non solo, anche nei terrazzi le fioriere sono oggi sostituite da colture in vaso, addirittura in serrette di erbe officinali, fragole rifiorenti e taluni azzardano pomodori e melanzane.

La scoperta dell‘attività del settore primario come riscatto di rifugiati, detenuti, disabili, tossicodipendenti è un trend del momento.Stanno nascendo, proprio in questi ultimi anni, iniziative e progetti di “agricoltura sociale” che vanno dal recupero e reinserimento lavorativo di soggetti con problemi di dipendenza, all’agricoltura terapeutica (ortoterapia con disabili fisici e psichici di diversa gravità) ma anche di persone emarginate ed anziani.

In questo contesto si muovono molte associazioni anche di giovani, una di queste è ACMOS con un progetto di gestione di orti nella Barriera di Milano.

ACMOS è unassociazione di educazione alla cittadinanza, il cui obiettivo finale è quello di formare cittadini consapevoli delle proprie responsabilità e dei propri doveri. Per questo sviluppa alcuni temi come la lotta alla mafia, la democrazia e la partecipazione attiva. A Torino svolge diversi progetti, alcuni nazionali, amministra 3 coabitazioni sul territorio torinese, una comunità di accoglienza in una vecchia fabbrica abbandonata in Barriera di Milano, e gestisce beni confiscati alla mafia tra cui spicca Cascina Caccia posta a San Sebastiano da Po (TO). Per questo incontra e forma i giovani del territorio.

Per parlare del progetto dell’orto intervisto Ruben Mainardi, un giovane neolaureato che accetta, a nome del gruppo, di illustrare ai Green Onions finalità e obiettivi del loro lavoro.

In che cosa consiste il vostro progetto?
Risponde allesigenza del quartiere di avere e condividere uno spazio da usare insieme, un luogo bello che possa creare legame sociale e, allo stesso tempo, anche fruttare qualcosa.
L‘idea di costruire un orto urbano proviene da un bando comunale che una ONG nostra partner ha vinto, quindi dato che noi di ACMOS lavoriamo molto sul territorio e cerchiamo sempre di creare aggregazione, ci siamo inseriti.
L‘area verde ha una parte di terra dedicata agli orti singoli, in cui i cittadini che sono stati selezionati coltivano ortaggi per il proprio consumo. Un’altra area verde è invece comune e gestita a più mani dalle associazioni che si sono unite come ACMOS e dai cittadini.

Come vi è venuta l’idea di un orto urbano?
Era da molto tempo che volevamo realizzarlo per incidere ancora di più sul nostro territorio, quando abbiamo saputo che una ONG in Barriera aveva vinto il bando e che cercava partner allora non ci siamo lasciati sfuggire questa occasione.

Perché in quella zona?
La Barriera di Milano è un quartiere che viene brutalmente denigrato e spesso snobbato, invece proprio qui succedono molte cose belle rivolte alla cittadinanza e alle persone.

Siete finanziati da qualcuno?
La ONG ha avuto un sostegno economico dal Comune di Torino per avviare il progetto ma noi che ne prendiamo parte lo facciamo in autofinanziamento.

In quanti vi occupate di questa iniziativa?
Attualmente due persone fisse oltre a occasionali portatori di interesse.

A chi andranno i “frutti” del vostro lavoro?
Inizialmente verranno condivi tra i partecipanti, anche perché al momento le quantità sono modeste.

Quanto impegno richiede la gestione di un orto urbano? E quali competenze?
Ne richiede abbastanza, in realtà è un lavoro che ne richiederebbe molto di più ma il fatto di essere in tanti a prendersi cura di tutto ciò aiuta, ti puoi dividere i compiti. Per le competenze, un’associazione ha provveduto a una prima formazione, inoltre noi disponiamo di un agronomo. Nel progetto sono stati anche coinvolti i richiedenti asilo africani che ospitiamo qui in CASA ACMOS e loro hanno delle competenze agrarie.

Avevate mai avuto esperienze simili in precedenza?
No, per noi è la prima volta in assoluto.

Ringrazio Ruben e a nome dei Green Onions gli auguro una riuscita non solo del progetto descritto ma in tutte le attività che vengono gestite dall’associazione a favore della crescita di un’educazione civica intesa come rispetto, non solo dell’altro ma anche dell’ambiente in cui si vive.

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